Per la quinta edizione del Festival ci siamo chiesti…

Che senso ha festeggiare mentre Gaza è sotto le bombe, mentre tanti altri bambini e civili sono vittime di altre guerre, mentre il drastico aumento per le spese di riarmo dicono che la guerra stessa si avvicina anche a noi e tutto dimostra che ne siamo sempre più intrisi?
Che senso ha festeggiare mentre anche dalle nostre parti si impongono nuove zone rosse e altre barriere e si espande la cultura di chi, metaforicamente e fisicamente, lascia affogare in mare chi emigra per una vita migliore?
Che senso ha parlare di difesa dell’ambiente o delle tradizioni quando anche sul nostro territorio anonimi centri commerciali nascono in ogni dove e il mercato penetra in ogni ambito della nostra vita?
Che senso ha parlare di dialogo con la natura quando poco più a sud, nella Brianza che dà il nome al piccolo Monte che ci ospita e protegge, gli ultimi lembi di boschi rimasti illesi dalla cementificazione vengono sventrati da un’autostrada a 8 corsie a pagamento (si legga Pedemontana)?

Che senso ha fare festa? Con quale spirito?
La risposta che ci diamo è che la Festa, per come la intendiamo e pratichiamo, può essere un rito comunitario, espressione di Resistenza e Speranza.

In tutte le comunità dei popoli originari, anche in quelle primitive, i riti di festa e danza esprimevano il bisogno innato dell’uomo di stringersi in comunità, di praticare forme di comunanza, di pratiche e linguaggi che uscissero dalla pianificazione e dalla razionalità, sincronizzando ritmi e movimenti e raggiungendo esperienze di unione estatica attraverso la danza sfrenata.

Andando alle nostre radici, ai riti Dionisiaci dei Greci o a quelli dedicati a Bacco dai Romani, la festa rappresentava proprio il desiderio di esplorare parti di sé al di fuori dalla routine e dalle gerarchie del lavoro e della guerra. Per questo motivo questi riti celebrativi sono stati repressi e annientati: prima dalle chiese, poi dalle istituzioni e infine dal capitale, la cui esigenza è solo l’estrema e razionale produttività, sull’altare della quale ogni altra spinta va sacrificata. E non è un caso che il livello più alto di repressione nei confronti delle feste rituali come i Carnevali, che rimettevano in discussione e in ridicolo ruoli, poteri e gerarchie; sia avvenuto nel XVI secolo, quando sono state inventate le armi da fuoco: basta feste e ozio, servivano soldati!

La soppressione dei Carnevali europei va di pari passo con quella delle culture originarie non europee del resto del mondo. Ne sono dimostrazione gli irriducibili generi di espressioni artistiche giunti fino a noi, che in tutto il pianeta hanno rappresentato la più alta e vitale forma di resistenza e addirittura di rivolta contro il dominio bianco, per i popoli sottomessi dalle conquiste, dal colonialismo, dall’imperialismo, dalle tratte schiavistiche, dalle missioni evangelizzatrici e dalle depredazioni operate dall’occidente. Pensiamo, tra le principali espressioni della diaspora africana, al blues, al jazz, al rock’n’roll, all’hip hop, al reggae, alla capoira che in seguito vengono poi inglobate, sussunte e sdoganate nel patrimonio culturale del sistema dominante.

Estirpare ogni espressione dell’immensa e ricchissima varietà di rituali, cosmovisioni, danze collettive era priorità dei colonialisti insieme a missionari “troppo indaffarati a reprimere rituali e fedi tradizionali” (1) per fermarsi a indagarne la natura e il significato. Il principale bersaglio della violenza e della repressione era la danza, considerata indecente. Già da allora erano i corpi e i loro movimenti le principali vittime. Tra i Namaqua del Sud Africa, per indicare i convertiti al cristianesimo, si diceva “ha smesso di
ballare” (2).

Tornando a Dioniso, che donò il vino all’umanità, nella mitologia greca era l’unico Dio dedito alla pace e non alla guerra. Dioniso amava la pace e, come Gesù (3), difendeva i poveri e respingeva le gerarchie dominanti… (4) Dioniso non veniva venerato per nessun fine (come favorire il raccolto o vincere una guerra) che non fosse la gioia pura e semplice del rituale. Non soltanto la esige e la istiga: Dioniso è l’esperienza estatica che definisce il sacro e lo separa dalla vita ordinaria. (5) I mortali potevano evocarlo con la danza ed era lui a “possederli” durante l’ebbrezza. (6) Dioniso viene definito un Dio folle! Un Dio che ha la pazzia come parte della sua natura… una forma originaria dell’essere in cui si manifesta la libertà del mondo primigenio (7) e addirittura, in un linguaggio più contemporaneo, la prima Rock Star della storia! (8)

Ci piace pensare che Rapello Folk Fest sia, a suo modo, un rito Dionisiaco contemporaneo, uno spazio riconquistato di Festa fuori dal tempo per una comunità che si rinnova, si apre e si allarga; rafforzando o creando nuovi legami tra persone di diversa età, in un luogo sacro dove la natura ancora è maestra e domina su tutti noi umani.
Donne e uomini, giovani e anziani, bambini e bambine che si incontrano, collaborano, danzano e cantano coi propri corpi e le proprie voci, per 3 giorni e 2 notti, all’insegna della convivialità. Un’esperienza dove l’incontro vero, al di fuori di ogni algoritmo o intelligenza artificiale, fa riscoprire la meraviglia e la magia dell’inaspettato.

Un’espressione di radicamento, tradizione e biodiversità dove dare spazio e sviluppo alle culture popolari che nella storia hanno elaborato, in simbiosi con le proprie terre e tradizioni, i propri modi, le proprie lingue e forme culturali e artistiche per raccontarsi, scandire i tempi e i passaggi, esprimere l’amore per la propria terra e la ribellione verso il potere e la guerra.

Come le forme più esasperate violenze del colonialismo non sono riuscite a estirpare culture profondamente radicate, fare festa significa, anche nel presente, rinnovare e innovare pratiche e culture che esprimono una tenace resistenza al dominio totalitario che oggi, se abbiamo il coraggio di volerlo guardare in faccia, prende la forma di un frontale attacco all’umano, con la digitalizzazione dei corpi e del pensiero, con asettici algoritmi e gli apparati dell’ intelligenza artificiale che minano la nostro innata intelligenza ecologica e il nostro naturale istinto alla vita.

Una festa low tech di irriducibile convivialità, a partire dai nostri corpi, come un momento autentico e ricchissimo nella sua semplicità, di raccoglimento felice contro la depressione che ci invade. Dove i sapori sono veri e genuini, il cibo viene coltivato almeno in parte nelle nostre terre e cucinato con le nostre mani, dove note e voci sono rigorosamente dal vivo in forma acustica o con strumentazione minima grazie ad artisti bravissimi ma non blasonati, dove si crea una profonda simbiosi tra l’arte e la natura che ci accoglie e tutto è reso possibile grazie a decine di volontari di tutte le età che collaborano fianco a fianco.

Musica, storia, terra, biodiversità, comunità, convivialità, autenticità, sogno, reincanto: tutto questo è profondamente politico, un’esperienza di incontro e di Resistenza culturale e umana, negli interstizi del deserto che avanza, dove piccole comunità si ostinano a voler vivere e reinventarsi continuamente fuori dalle logiche del tutto previsto.

Perché Rapello Folk esce dall’artificiosità, dall’omologazione e dall’asetticità del tutto previsto e organizzato. Chi incontrerai nelle lunghe tavolate, con chi ballerai fino a tarda notte, quello che succederà durante la 3 giorni non è prevedibile e programmabile… Sarà l’esito delle storie, dei contributi, delle energie e degli intrecci di tutti quelli che ne faranno parte, dell’alchimia che nascerà tra umano e non umano, del caso, della sorpresa e di altre energie non misurabili dalla ragione e dalle scienze umane.
Una parte della festa è semplicemente e felicemente fuori controllo. Quello controllo ostinato a cui dedichiamo indicatori, sforzi, risorse.

Maciej Bielawesky teologo, studioso di ecosofia (9) e ospite a Cascina Rapello in occasione dell’ultima edizione di Transizioni Fest ci parlava di armonia dell’invisibile. E forse questa armonia ha a che fare anche col Reincanto del mondo, tema dipanato dall’antropologa Stefania Consigliere (10) e ripreso nel laboratorio teatrale tenuto da Giulia Galli e Gabriel Popham sempre a Transizioni Fest.

Lo slogan di Rapello Folk 2025 è “Fa no la guera… Bala!”. Si tratta di riappropriarsi e di dar vita a spazi per stare insieme, far musica, ballare, ridere e creare nuove narrazioni che rimettono al centro la Speranza. Speranza come forza sociale e trasformativa (11). Un festival di gioia, di Resistenza e reincanto, nella consapevolezza che disincanto, rassegnazione, colonizzazione dell’immaginario, assuefazione sono le arme più efficaci del potere per deprimerci e paralizzarci. Un Festival dove ricercare insieme le nostre radici e culture, dove liberare e sprigionare sogni ed energie, dando vita a nuove possibilità.

Un festival che si dipana tra i prati e i boschi di un luogo meravglioso: Cascina Rapello. Un festival autogestito e a ingresso libero reso possi bile dall’impegno quotidiano della Cooperativa Sociale Liberi Sogni, dall’accurata ricerca nell’ambito della cultura popolare dell’Associazione Lo Stivale Che Balla, dalla dedizione dei volontari e delle volontarie, da tanti piccoli sponsor come botteghe ed esercizi commerciali del territorio, dalla generosità e dallo spirito degli artisti e dai contributi e dalle offerte a cappello che verranno donate dopo ogni concerto dai partecipanti.

Se cerchi un evento dove tutto è perfetto e organizzato e dove tutto è già previsto, dove pensi di essere solo un cliente, stai lontan@ da noi!
Se invece ti riconosci nei significati, nello spirito e nelle spinte che lo caratterizzano, se cerchi un’esperienza unica, potente e autentica, con tanta convivialità e spontaneità proprio perché siamo umani e umane, con una proposta musicale e culturale di alto spessore, con uno spazio per l’inaspettato e un pizzico di magia… ti aspettiamo il 5-6-7 settembre a Cascina Rapello!

Viva Rapello Folk 2025! Fa no la guera… bala!

Matteo Rossi
Presidente Cooperativa Sociale Liberi Sogni

(1): B.J. Stoeltje, Festival, in R.Bauman, Folklore, cultural performances, and popular entertainments, p 262

(2): W. Oesterley, The sacred dance: a study in comparative folklore, p. 80

(3): Secondo alcuni studiosi la figura di Gesù ha ereditato e fatto propri valori, pratiche e finanche le sembianze di Dioniso, che era di molto precedente. Per approfondimenti cfr. Gesù e Dioniso in B. Ehrenreich, Una storia della gioia collettiva, 2007

(4): B. Ehrenreich, p. 76

(5): E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa

(6): B. Ehrenreich, p. 50

(7): W. Otto, Dioniso, p. 136

(8): B. Ehrenreich, p. 53

(9): Atteggiamento ecosofico, www.maciejbielewaski.com

(10): S. Consigliere, Favole del reincanto. Molteplicità, immagnario, rivoluzione

(11): Speranza forza sociale è anche un tema che dà il titolo a un recente libro a cura di Aldo Zanchetta che con altri autori
cerca di recuperare il pensiero di Ivan Illich e dell’amico messicano Gustavo Esteba, Recentemente scomparso.